L’olivo è una specie che caratterizza i paesaggi mediterranei; sembra che sia arrivato dall’Africa in epoca pliocenica. In Italia è estremamente diffuso; le uniche aree dove non è presente sono le montagne e la Pianura Padana.

Da millenni è legato all’uomo per varie ragioni. Sofocle descriveva l’ulivo come “la dolce nutrice argentea” intendendo come sia presente in ogni atto della vita dell’uomo. La pianta è sempre stata simbolo della pace e della vita che si rinnova.

E’ una specie sempreverde e non sopporta gli inverni troppo rigidi. Ha bisogno di terreni poco umidi e preferisce le zone collinari asciutte e riparate. Dimostra di essere molto longeva e non è raro trovare individui plurisecolari. L’altezza della pianta può variare molto a seconda di come viene gestita.

Il tronco è grigio-verde e liscio fino al decimo anno, poi diventa scuro e nodoso, con solchi profondi e contorto. I funghi provocano spesso il deperimento interno del tronco tanto da renderlo cavo.

L’olivo ha foglie lanceolate, coriacee, lunghe in media da 5 a 8 centimetri; il loro colore è verde glauco e sono rivestite da una cuticola cerosa che limita le perdite di acqua in estate.

Il fiore dell’olivo è ermafrodita cioè possiede sia gli organi maschili che l’organo femminile. I fiori all’inizio appiano come piccole gemme e sono raggruppati in infiorescenze simili a piccoli grappoli, le cosiddette “mignole”. Alla fase della “mignolatura” segue la fioritura vera e propria; questa può avvenire tra la fine di aprile e il mese di giugno. La fecondazione è anemofila, ossia avviene per mezzo del vento.

Il frutto è una drupa di forma ovale. E’ formato dall’epicarpo (buccia), il mesocarpo (polpa) e l’endocarpo (nocciolo). La polpa è la parte che contiene l’olio. Questo si trova dentro le cellule e negli spazi intercellulari.

Con il procedere della maturazione il colore dell’oliva passa dal verde intenso, al violetto, al rosso-vinoso, al nero-corvino. Contemporaneamente al viraggio del colore si ha la “inolizione”, ovvero l’accumulo di olio nella polpa.  Le olive possono essere colte fra ottobre e dicembre.

Si alternano annate con abbondante fruttificazione e ridotta attività vegetativa (carica) seguite da annate con fruttificazione scarsa ed eccesso di vegetazione (scarica).

Nelle giovani piante l’apparato radicale dell’olivo è fittonante, poi gradualmente si sviluppa una serie di radici dalla zona che separa radice e tronco le quali crescono in uno spessore di terreno fra i 50 e i 60 cm di profondità ed occupano un’ampia superficie di terreno.

La specie Olea europaea comprende due sottospecie: Olea europaea sativa e Olea europaea oleaster. Le cultivar da olio appartengono alla prima, mentre alla seconda va ricondotta la forma selvatica tipica della macchia mediterranea, detta Olivastro. Quest’ultima ha un portamento più arbustivo, rametti a volte quadrangolari muniti di spine e foglie di dimensioni ridotte; produce inoltre piccoli frutti.

Si crede che dalla forma selvatica sia stata selezionata la forma domestica in un’area compresa tra la Palestina ed il Caucaso; gli antichi coltivatori avrebbero individuato e moltiplicato piante adatte a rispondere alle loro esigenze. Il fatto determinante per la “domesticazione” è stato, probabilmente, la capacità dei polloni di ricreare nuove piante se staccati con cura e ripiantati,. Grazie a queste rudimentali pratiche colturali ha preso vita la coltivazione dell’ulivo.

L’olivo avrebbe naturalmente una forma arbustiva ma viene allevato ad albero mantenendo uno solo dei fusti che si originano alla base dalla ceppaia. Questo negli anni diventa un tronco.

Sono stati necessari millenni di convivenza con l’uomo per arrivare alla produzione dell’olio. Questa inizia probabilmente nel II millennio a.C. nel Mediterraneo orientale; all’inizio del I millennio a.C,.  l’olivo coltivato e l’olio avevano raggiunto tutte le sponde del Mediterraneo.

Sono i greci che diffondono la coltivazione dell’olivo nell’Italia meridionale mentre nell’Italia centrale questo avviene invece grazie agli Etruschi. Sarebbero stati i cartaginesi a scoprire la moltiplicazione dell’olivo tramite l’innesto sulle piante di oleastro. I Romani poi capiscono il potenziale di questa pianta per la valorizzazione dei territori conquistati tanto che tra il II ed il IV secolo d.C. l’areale dell’olivo finisce per coincidere con i confini dell’impero. L’olio diventa un prodotto molto richiesto (era principalmente usato per la cura del corpo, l’igiene, la cosmesi e per alimentare le lucerne.) così i carichi di orci od anfore vanno a riempire le stive delle navi.

Con la caduta dell’Impero romano il commercio dell’olio subisce un forte declino; questo riprende slancio solo nell’XI e XII secolo ad opera dei mercanti genovesi e veneziani, ridando vita alle aree di coltivazione in Italia. Dopo il 1300, l’olio diventa un prodotto indispensabile e, nel giro di due secoli, gli oliveti si sviluppano con estensioni mai conosciute. La vera grande spinta alla coltivazione della pianta si ha nel XIX secolo, grazie soprattutto all’aumento demografico. Nel XX secolo l’olivicoltura ha un ulteriore sviluppo per l’introduzione della meccanizzazione e dei moderni trattamenti.