Il paesaggio italiano è frequentemente “macchiato” da nuclei di conifere che spiccano, soprattutto in inverno, all’interno del mantello di boschi di latifoglie. Questi sono il risultato dei cosiddetti “rimboschimenti”, effettuati dalla fine del XIX secolo fino agli anni 70 del secolo scorso.

Con la prima Legge forestale italiana (n. 3917 del 20 giugno 1877) si da il via a tali interventi di rimboschimento al fine di “garantire la consistenza del suolo e di regolare il corso delle acque”. Gli impianti sono avvenuti sia su proprietà private abbandonate che su quelle pubbliche.

Nel basso Casentino (dove ricade il comune di Capolona) tali nuclei sono soprattutto pinete composte da Pino nero (Pinus nigra) e Pino marittimo (Pinus pinaster).

I rimboschimenti sono stati realizzati con la finalità di ricostituire la copertura forestale su terreni a scarsa fertilità o dove vi era un uso eccessivo del suolo. Questa attività è stata molto intensa, soprattutto nell’Italia appenninica ed ha costituito il principale intervento attivo della politica forestale in Italia.

I rimboschimenti hanno avuto anche scopi economici e sociali, creando occupazione in zone svantaggiate e favorendo la produzione legnosa.

Lo scopo principale di tale politica era quello di frenare il dissesto idrogeologico, in zone degradate e soggette a forte erosione. Al rimboschimento doveva poi seguire la “rinaturalizzazione”, ovvero la sostituzione delle conifere con specie autoctone; vi era il presupposto che il sistema artificiale avrebbe portato alla costituzione di un bosco più naturale, in grado di perpetuarsi autonomamente. Le pinete avevano densità elevate (2.000-2.500 piante a ettaro) per garantire in breve tempo la copertura forestale; per arrivare a ciò si sono usate specie pioniere che attecchiscono bene anche su terreni molto aridi e molto poveri.

La gestione di questi boschi artificiali prevedeva diradamenti per favorire l’ingresso di piante locali e un successivo taglio a raso delle conifere. Queste formazioni versano spesso in condizioni di semi abbandono e sono stati oggetto di sporadici interventi.

Si tratta di sistemi molto semplificati che hanno caratteristiche di scarsa naturalità in termini di struttura, organizzazione, funzionalità e resilienza.